" Palazzo Piacentini "
Il Palazzo di Giustizia di Messina, edificato sull’area del Grande Ospedale, è una importante realizzazione degli anni della ricostruzione della città sulle rovine del sisma del 1908.
Il progetto era stato approvato già nel 1912, dopo che Marcello Piacentini era stato incaricato per chiara fama: dopo alcune variazioni approvate nel 1913, l’impresa Porcheddu aveva iniziato i lavori di fondazione, ma l’inizio della Grande Guerra aveva provocato la sospensione del cantiere.
Soltanto nel 1923 si poté riprendere l’opera interrotta (ora affidata all’ impresa Salvate) ma nel frattempo il progetto era stato interamente rivisto dall’autore che, mantenendo invariata la parte strutturale, riformulò la veste architettonica passando dalla maniera neorinascimentale, ancora di gusto umbertino, alla rivisitazione di modelli neoclassici tedeschi adeguati all’ambiente locale- Mantenendo invariata la distribuzione in tre corpi collegati, il Piacentini adottò l’ordine dorico citando la berlinese Porta di Brandeburgo che ben si adattava a fornire un modello architettonico calzante: i dettagli furono tuttavia ispirati alla classica architettura dei templi dorici siciliani. I lavori furono ultimati nel 1927 e l’inaugurazione avvenne in forma solenne nel 1928
Il Palazzo occupa una vasta area ed è circondato da una artistica inferriata che lo isola in parte dal contesto urbano ed immerso nel verde di un ampio giardino. Il terreno in pendio poneva problemi che furono risolti mediante l’articolazione del Palazzo in tre corpi: il corpo centrale, dai marcati caratteri monumentali ospita la Corte d’Appello e la Corte d’ Assise mentre nei corpi laterali trovano posto altri uffici; ampi corridoi collegano le varie parti e la grandiosa architettura degli esterni contribuisce a dare un aspetto unitario e monumentale ad una struttura pensata con finalità di razionale distribuzione degli uffici.
Il fronte principale si eleva su un’ampia scalinata: ad ordine unico, con un gigantesco colonnato dorico che scandisce le aperture ed è sovrastato da una grandiosa trabeazione dorica poco sviluppata nel rilievo ma molto alta.
L’importanza di questo prospetto è sottolineata oltre che dalle iscrizioni latine che si ritrovano su tutti lati del Palazzo, da una decorazione scultorea ed architettonica di grande effetto: le tre porte sono ornate da sobri decori e presentano bei portoni in bronzo, con applicazioni a rilievo, disegnati dallo stesso Piacentini. Sopra le finestre del piano terreno sono disposti sei tondi con ritratti più o meno ideali di giuristi messinesi (Dicearco di Messina, Guido Delle Colonne, Giacomo Macrì, Antonio Fulci, Francesco Faranda e Andrea Di Bartolomeo) eseguiti dagli scultori Cloza e Riccardi.
I due grandi tondi allegorici raffiguranti la Legge ed il Diritto (Prini), le aquile romane (Cloza) e le teste di Minerva (Marescalchi e Bonfiglio) completano il programma di decorazione scultorea: sul grandioso attico troneggia infine la grande quadriga condotta dalla dea Minerva realizzata da Ercole Drei in lega di bronzo e alluminio.
Al Bonfiglio furono affidate inoltre alcune decorazioni architettoniche, realizzate in cemento sulla base dei bozzetti dello scultore: i festoni con cornucopie e soprattutto le belle protomi leonine, forse ispirate ai gocciolatoi del tempio di Himera la cui scoperta si andava completando in quegli anni.
Mentre il Bonfiglio si ispira alla tradizione siciliana, la grande quadriga è recuperata dalla tradizione architettonica del Nord Europa ove era tipica dei grandi edifici pubblici ottocenteschi.
Le testate dei corpi laterali ripetono, nelle ridotte proporzioni, lo schema del prospetto del corpo principale, con grandi semicolonne doriche reggenti l'attico ornato da festoni e protomi leonine, mentre le sculture sono ridotte ad una testa di Minerva.
La stessa sistemazione monumentale evidenzia gli ingressi laterali su via Cesare Battisti e via Porta Imperiale mentre il restante sviluppo esterno dell'edificio si segnala per le linee architettoniche più semplici, ritmate da semplici paraste in sostitu zione delle semicolonne con pochi inserti ornamentali costituiti da teste di Minerva e medaglioni con elementi simbolici.
L'apparato esterno trova perfetto riscontro nella sistemazione degli interni: un ridotto atrio immette attraverso cinque grandi porte (di cui quella centrale ornata da una bella testa di Minerva del Bonfiglio) nel monumentale vestibolo a due ordini illuminato dall’alto con un grande solarium.
Il vestibolo costituisce lo spazio centrale su cui si impernia la distribuzione di tutti gli ambienti e non a caso la sua importanza è segnalata da coppie di colonne in pietra grigia che immettono nelle due aule laterali e nell'atrio. In fondo al vestibolo si apre la scenografica porta della Corte d'Assise con la statua Bronzea della Giustizia di Arturo Dazzi.
Ai lati di questa porta iniziano due scalinate gemelle con elaborate balaustre in marmo grigio e bronzo che immettono nei locali del primo piano.
Alle due estremità del grande corridoio che attraversa il vestibolo (ed in corrispondenza degli ingressi laterali del Palazzo) si aprono due vestiboli minori caratterizzati dall'apparato monumentale di colonne marmoree: su questi spazi si aprono altre aule pubbliche e scalinate che portano al piano superiore.
L’apparato decorativo degli interni comprende una serie di allegorie in terracotta del Biagini (Atena, il Giudizio di Paride, il Vero ed altre) che ornano le aule pubbliche nonché decorazioni dipinte realizzate da Di Stefano Romano e Schmiedt nei soffitti di alcuni ambienti di rappresentanza. Di particolare interesse risultano gli arredi che furono disegnati dal Piacentini: porte, lampadari, applique e mobili furono concepiti appositamente per questo Palazzo di cui riecheggiano le linee architettoniche adottando tra l'altro i ricorrenti motivi della cornucopia e della fiaccola.
Di rilievo è anche la qualità dei materiali utilizzati: negli esterni pietra giallo oro di Solunto e pietra gialla di Cinisi per le semicolonne e le decorazioni; pietra grigia di Billiemi per i portali; pietra nera lucidata di Billiemi per colonne, portali e scalinate degli interni.
Il risultato complessivo realizzato dal Piacentini è di evidente e forte richiamo alla cultura classica, rinnovata mediante il ricorso a forme architettoniche e materiali attinti direttamente alla grande tradizione della Sicilia greca: il progetto originale di tarda derivazione umbertina viene nella revisione del 1923 totalmente riformulato dando vita ad un'opera originale e adeguata alla cultura isolana, lontana dai conformismi dell'architettura pubblica corrente, ma ancora non irrigidita nel tetro monumentalismo del Piacentini architetto di regime.